Che cosa significa valutare le prestazioni?
Valutazione delle prestazioni, Performance Management, Annual Performance Review: temi cruciali ma su cui non possiamo, per così dire, accontentarci dello staus quo perché sono pratiche che mostrano, in molti casi, tutti i loro limiti, se svolti in maniera tradizionale.
Voglio partire da un episodio che mi è capitato qualche anno fa. Mi era stato richiesto di valutare una mia collega, abbastanza refrattaria alle regole e a seguire certe rigide linee guida. Ora, il fatto è che questa professionista un po’ “ribelle”, alla fine, svolgeva bene il suo lavoro e apportava comunque valore al team e all’organizzazione. E io questa cosa l’avevo riconosciuta.
Qui siamo di fronte a un aspetto controverso: da un lato, se avessimo misurato certi indicatori del suo comportamento mettendoli a confronto con quelli richiesti in una valutazione standard delle prestazioni, il giudizio non sarebbe potuto essere positivo. Gli standard sono tali e non è detto che vadano bene per tutti. Dall’altro lato, un’azienda non può abolire tutte le regole interne e basarsi sul caso particolare: ha comunque bisogno di una certa standardizzazione. Certo, ci può anche piacere la retorica da film americano per cui il personaggio “irregolare”, non inquadrato, fuori dagli schemi alla fine è quello che salva la situazione. Ma una organizzazione deve avere delle regole e dei sistemi di misurazione e non si può neanche dire che il sistema sia volutamente costruito per punire il comportamento che porta al successo o che per realizzare una buona performance sia obbligatorio trasgredire le regole…
Vedete come la questione non sia affatto semplice e lineare?
Una questione annosa
Un bel testo che parla di questi aspetti è Abolishing Performance Appraisal che è stato pubblicato più di venti anni fa. È più o meno contemporaneo del Manifesto Agile. E come quest’ultimo metteva in luce dei problemi legati alle modalità di sviluppo del software, il libro [1] di Tom Coens e Mary Jenkins faceva emergere tutti i limiti della tradizionale valutazione delle performance: non è un tema nuovo, anche se a volte mi pare che certe acquisizioni ce le siamo un po’ perse per strada. HR ha un sacco di temi da tenere d’occhio e forse questo aspetto della revisione della Performance Management è stato un po’ tralasciato, almeno nella maggior parte delle aziende.
Come nasce il Performance Management
Il quadro è sostanzialmente il seguente: ci sono delle pratiche di Performance Management conosciute e applicate in azienda. Magari sono vecchie, ma ci sono. Di solito, se un’organizzazione è grande, ha ereditato questo blocco di pratiche; se è piccola e gli interessa il tema della performance, finisce per andare a cercare proprio quel tipo di strumenti lì. Di fatto, c’è il problema di misurare la performance, sia per capire cosa le persone fanno all’interno dell’azienda, sia per vedere cosa esce dall’azienda stessa.
Il Performance Management nasce per rispondere a un’esigenza: ci sono tante persone nell’organizzazione, e ce n’è qualcuna che non lavora bene… o meglio ce ne sono tante di cui non sappiamo se stanno lavorando bene o meno, o di cui ci viene detto che non stanno lavorando bene. La soluzione che dovrebbe consentirci di controllare questa situazione è, appunto, il Performance Management.
Finché l’azienda va bene, non c’è nessuno che si lamenta e non c’è l’impressione che qualcuno non stia contribuendo al buon andamento dell’impresa… non ti verrà mai in mente di mettere insieme un sistema di performance management.
Limiti del Performance Management
In fin dei conti, qualcuno dovrà dire di qualcun altro: “Sì, sta lavorando bene” oppure “Eh, no… le prestazioni sono basse”. Ma come si fa, dentro un’organizzazione? Magari un’organizzazione grande… E questo significa che poi si potranno anche prendere decisioni a riguardo; ma, in un quadro “normale” e non dispotico, le decisioni sono difficili da prendere: abbiamo bisogno di poter decidere sulle persone con dei dati oggettivi, perché nel momento in cui decidi, ti esponi ed eserciti un potere sulla persona oggetto della decisione.
Non si vogliono prendere decisioni d’impulso e allora bisogna trovare dei modi “oggettivi” per avere dati su cui basarsi. In realtà, sull’oggettività degli strumenti possiamo discutere a lungo. Spesso ci si illude di avere strumenti per la valutazione oggettiva, ma quel che facciamo è tutt’altro.
Per esempio, valutiamo un comportamento, una performance. Ma su quale metro? Vogliamo ripetere lo stesso ciclo di valutazione per tutte le persone in azienda, ma è veramente possibile?
Immaginiamo di dover dare una valutazione su una scala, da 0 a 10, di una performance. Finché restiamo in un lavoro “meccanico”, magari anche molto impegnativo e che richiede una certa competenza, ma semplice, nel senso di non complesso, la cosa la possiamo anche fare.
“Quanti mobili ha verniciato quell’operaio nel laboratorio di falegnameria in quel giorno?”. 10? 13? O solo 4? Qui occorre mettersi d’accorso su quale sia il numero “giusto”, ma una volta giunti a una conclusione concordata, si fa abbastanza presto a valutare la performance. Può comunque sempre essere un po’ arbitrario, ma ci si arriva.
Ma su un lavoro complesso, in cui abbiamo da pensare, scegliere, applicare le decisioni… cosa valuti? Il numero di fogli scritti o di mail mandate o, come si faceva un tempo, le righe di codice prodotte? È chiaro che non è così, perché non son questi gli indicatori che ti dicono se e quanto il lavoro di quella persona stia contribuendo agli obiettivi aziendali.
Qui arriva uno dei limiti del Performance Management tradizionale: quello che sta valutando è una conformità a un comportamento “arbitrariamente” scelto come standard. E questo è un indicatore del fatto che si concepisce la persona che lavora come una macchina che deve funzionare in quel modo lì.
Poi, ripeto, se ci accordiamo che il mio comportamento deve essere più simile a questo che a quell’altro, io sono d’accordo nel farmelo valutare. Però, quasi sicuramente, l’origine è sempre un problema o una underperformance; a fare testo non sono degli atti positivi, ma dei comportamenti negativi da non tenere: non litigare col cliente, non arrivare in ritardo, non cambiare il prodotto che si usa e così via.
È molto difficile usare questi meccanismi al positivo. Se lo si fa, significa che individualmente, per ogni persona, è stato fatto un discorso: “Sarebbe molto importante per la tua crescita che tu riuscissi a fare dei discorsi sintetici”; “Nel tuo caso, aiuterebbe molto fare le mappe mentali”; “Comunica in maniera più esplicita i tuoi dubbi e le tue perplessità, in maniera da stimolare possibili soluzioni” e così via.
Ma, lo ribadisco, l sistema tradizionale si affida a schede di valutazione, rating numerici e classificazioni che, su un lavoro intellettuale e non meccanico, misurano una conformità a un comportamento “arbitrario” anziché il contributo reale. Spesso si finisce per giudicare in un’ottica di bene vs. male, che ha più a che fare con il giudizio morale che con l’effettivo contributo dato al raggiungimento degli obiettivi aziendali.
I bias di chi valuta
L’illusione di imparzialità del manager è un mito : la valutazione è sempre influenzata da bias personali (di genere, età, etc.). Inoltre, il feedback viene spesso manipolato: sapendo che sarà letto da HR o dai superiori, gli operatori tendono ad “appiattire” il giudizio per non esporsi o non pesare troppo sul valutato, rendendo la valutazione inutile.
Un’altra criticità emerge dal ruolo del manager, a cui si chiede di trasformarsi in un coach durante i colloqui di performance. Questa richiesta crea un’ambiguità e una frizione insostenibile: la relazione manager–collaboratore non ha la stessa libertà di scelta di quella tra coach e coachee, perché il manager deve comunque prendere decisioni che riguardano lo stipendio, la crescita e l’organizzazione del lavoro.
Tutto questo viene sicuramente attenuato quando il sistema con cui valutiamo le performance è trasparente e lascia meno opacità possibile: per esempio, quando l’abbiamo concordato, cioè abbiamo progettato noi le modalità e scelto gli strumenti.
Ripensare il sistema di Performance Management
Dopo tutte queste critiche, magari verrà da pensare che la cosa migliore sia buttare via tutto e lasciar perdere. In realtà non è così: noi abbiamo un sistema strutturato, che è il Performance Management, che ha dei meccanismi, delle funzioni, ha una ciclicità, ha anche delsoftware, degli strumenti. Bene, teniamolo, ma trasformiamolo.
Mettiamoci dentro qualcosa che abbia più senso per noi, rispetto a quello che il sistema porta con sé per “eredità”. Quindi il sistema c’è, ma, a seconda del tipo di ruolo, del tipo di incarico e maturità professionale di una persona, ci può essere una coprogettazione di quello che viene valutato e anche un ciclo di revisione, perché fra un anno probabilmente verrà valutato su qualcosa di diverso. L’importante è che serva ad entrambi.
La frequenza della valutazione
Partiamo ad esempio dal rivedere la classica Annual Performance Review. Perché va fatta su base annuale? Facciamola più spesso, in maniera da renderla anche meno pesante e stressante.
Chiaramente dobbiamo trovare comunque dei momenti precisi in cui fare questa valutazione, perché farla continuamente, in un’ottica di Continuous Performance Development è inadeguato tanto quanto non farla mai o farla solo con cadenza annuale. Nel primo caso, se qusto processo è continuo, diventa parte del lavoro, e “annega” nel feedback che ci si dà continuamente. Quindi non so se è davvero Performance Development se lo si fa diventare continuo. Quantomeno non è quel sistema cadenzato e distribuito che ci si aspetta di avere in un’organizzazione.
Che cosa compiliamo?
Un altro aspetto da rivedere è quello per cui c’è una persona che deve valutarne un’altra sulla base di un sistema calato dall’alto, alla cui realizzazione nessuno dei due ha partecipato. Un conto è sedersi a un tavolo e parlare dello sviluppo della carriera di una persona dell’azienda, valutando anche cosa è stato fatto fin qui, e un’altra storia e mettersi a compilare qualcosa di standard che mi viene richiesto da HR. In questo secondo caso, spesso, si finisce per mettere su una grande finzione, per cui si scrive che la persona è puntuale, ma in fondo non si dice niente di sostanziale.
Perché non ci si vuole esporre, perché non si vuole pesare sul futuro della persona valutata dal momento che si sa che la valutazione che stiamo dando non la legge solo il valutato, ma anche il suo capo, e il capo del suo capo e questo può impattare parecchio sulla sua futura carriera. In definitiva, queste informazioni non sono autentiche, sono appiattite sul generico e, in definitiva, non servono affatto a valutare la prestazione in ottica aziendale.
Per esempio, pensiamo a un classico sistema di valutazione basato sulla soddisfazione. Ho parlato con un operatore di help desk e mi viene chiesto di valutarlo. Che cosa compiliamo? “Indicare con un numero da 1 a 10 se l’operatore ha risolto il problema”. Ma come faccio a scriverlo senza farmi qualche domanda? Per esempio, se non ha risolto il mio problema, perché non l’ha fatto? Perché è incapace o svogliato? E in questo caso 3 o un 4 ci starebbe. Ma se non ha risolto il mio problema perché il sistema, il processo dentro cui si trova non glielo consente? Mi viene richiesta una valutazione personale sull’operatore, che non ha risolto il problema, ma magari non aveva il potere, la possibilità di farlo. E allora perché dovrei dare 3 o 4? Invece magari dovrei dare 9 o 10, perché ci ha provato, è stato gentile, mi ha dato delle informazioni, anche se comunque il mio problema non è stato risolto semplicemente perché lui non aveva il potere di farlo.
Questo è un altro esempio di come sia importante, nel Performance Management, fare le domande giuste e considerare che non è solo la persona che può risolvere o non risolvere, ma anche il sistema entro cui opera che può metterla in condizioni di farlo o non farlo.
Qualche indicazione operativa
Fin qui abbiamo visto sostanzialmente i problemi. Ma ci sono anche delle possibil soluzioni: si tratta ovviamente di rivedere pratiche e strumenti del Performance Management “tradizionale” e di procedere a un riordino che segua alcune esigenze nate nel corso degli anni.
- Trasparenza e co-progettazione: i criteri di valutazione devono essere legittimi e concordati tra il manager e il collaboratore. In questo modo, il processo diventa uno strumento di sviluppo, non di giudizio.
- Distribuzione e responsabilità: Il processo di valutazione deve essere distribuito e non più centralizzato in capo solo a HR. La responsabilità deve essere condivisa con chi lavora a contatto con le persone, ossia i manager e i team. Il ruolo di HR diventa quello di fornire gli strumenti e i modelli per le conversazioni.
- Frequenza e approccio iterativo/incrementale: invece di una singola valutazione annuale, le decisioni sulla carriera e sulla crescita (aumento, formazione, riorientamento) dovrebbero essere prese in modo iterativo e incrementale. Questo significa raccogliere feedback e informazioni in modo più frequente, per esempio ogni 3-6 mesi, creando un “portafoglio di opinioni” su cui basare le decisioni. Questo approccio, simile a quello delle metodologie agili, permette di avere informazioni sempre aggiornate per prendere decisioni tempestive.
In ultima analisi, l’obiettivo non è semplicemente valutare la performance, ma gestire il miglioramento. Si tratta di passare da un sistema di controllo a un sistema che supporta le persone e l’intera organizzazione, rendendo il lavoro più efficace e soddisfacente.
Quindi HR serve per distribuire strumenti, modelli o modalità di conversazione, accordo o rimozione dell’ambiguità tra quello che si sospetta dell’azienda e rispetto ai ruoli che poi fornisce alle persone.
Occorre ricordarsi, inoltre, che non possiamo pensare alla valutazione della prestazione come “isola” staccata da tutto, ma che temi quali il feedback o le competenze sono a loro volta ugualmente coinvolti.
Ridurre le perturbazioni, ma esserne consapevoli
Il fatto che, comunque, si tenda spesso a tornare verso una valutazione della conformità a un comportamento standard, non è terribile a patto che se ne sia consapevoli. Se proprio vogliamo valutare certi elementi, ad esempio la puntualità — che è un classico di questi sistemi di Performance Management — basta essere consapevoli che questo è un modo per togliere confusione rispetto a quello che si vuole misurare veramente. È, per usare un termine esistente in letteratura, un indicatore disgiuntivo: ci aiuta a semplificare, ma non è la putualità che misura il reale contributo che la persona sta dando al raggiungimento degli obiettivi aziendali. Perlomeno, non lo è in certi contesti in cui non conta quanti mobili ho verniciato in una giornata lavorativa, ma piuttosto contano le scelte fatte, le decisioni prese, le risposte date.
Ma ciò che mi interessa per valutare non è tanto avere come primo criterio la puntualità — che può essere cruciale sulla catena di montaggio e un po’ meno in una economia della conoscenza — ma coprogettare i criteri di valutazione con i dipendenti, rendere il processo più iterativo e incrementale e distribuire la responsabilità della valutazione, non centralizzandola nelle mani di un solo dipartimento.
L’obiettivo finale non è più classificare le persone, ma utilizzare la valutazione come strumento per lo sviluppo e il miglioramento continuo, rendendola un dialogo costante e trasparente: passare dal giudizio allo sviluppo.
Non dimentichiamo che spesso la valutazione della performance è legata anche a dei premi o a decisioni sull’indirizzo da dare al percorso del dipendente in azienda: che tipo di carriera prospettargli, quali corsi di formazione offrirgli, e così via. Per questo occorre che le informazioni sui baseremo la decisione nei suoi confronti siano quanto più complete e attendibili possibile.
Infine, un aspetto cruciale, spesso dimenticato in questi anni di imperante uso degli strumenti AI nelle varie attività: la Performance Management deve essere svolta da persone con persone. Non può essere fatta da un algoritmo, per quanto sofisticato.
Conclusioni
Il tema della misurazione delle prestazioni è cruciale nell’attuale panorama aziendale. Occorre però creare insieme a tutte le persone coivolte un sistema condiviso di Performance Management, che cerchi di valutare non tanto la conformità a uno standard aziendale, quanto piuttosto l’effettivo contributo, nelle sue varie sfaccettature, apportato dal lavoratore.
In sintesi, il nuovo paradigma è basato su trasparenza, collaborazione e fiducia. Svincolando la valutazione dalla burocrazia e dal giudizio, si può finalmente trasformarla in uno strumento potente per la crescita e la soddisfazione in azienda.
Riferimenti
Tom Coens – Mary Jenkins, Abolishing Performance Appraisals: Why They Backfire and What to Do Instead. Berrett-Koehler Publishers, 2002