Un’evoluzione nelle architetture dei sistemi
L’evoluzione architetturale e tecnologica degli ultimi anni ha spinto le organizzazioni IT verso una trasformazione radicale, cambiando il modo di disegnare e operare le applicazioni.
In passato, le applicazioni venivano progettate in funzione di infrastrutture rigide e monolitiche, tipiche di datacenter tradizionali. L’infrastruttura dettava le regole e lo sviluppo doveva adattarsi.
Oggi, nell’età del cloud, il paradigma si è ribaltato: è l’infrastruttura a essere modellata sull’applicazione. Le architetture moderne sono distribuite, dinamiche, flessibili. L’infrastruttura è diventata un abilitatore, non un vincolo. Ha accelerato l’innovazione, ma ha anche aumentato la complessità e gli sforzi necessari a garantire governo, sicurezza e compliance richieste dalle nuove normative.
In questa transizione, il DevOps ha rappresentato un primo, fondamentale salto culturale e tecnologico: ha avvicinato sviluppo e operation, abilitando automazione e velocità. Ma, da solo, oggi, non basta più.
DevOps: una rivoluzione a metà
DevOps nasce con un’intenzione chiara: adottare un insieme di capacità tecniche, di processo e culturali per abbattere la barriera tra sviluppo e operation: meno handover, più automazione e maggiore suddivisione delle responsabilità.
Chi scrive codice è responsabile anche di ciò che accade in produzione.
Il DevOps non è una tecnologia, ma un insieme di pratiche. Come tutte le pratiche, funziona solo se è supportato dal contesto, dalla cultura e dalla capacità. Spesso, però, questi elementi sono presenti a macchia di leopardo e/o crescono in modo disomogeneo. I primi problemi emergono quando si scala da pochi team a decine, da una singola applicazione a un ecosistema di microservizi, dal cloud al multicloud o a infrastrutture ibride.
In questi scenari, l’approccio DevOps “frammentato” non è vincente. I team non lo adottano con un approccio uniforme e coerente, i processi si interrompono e si disallineano rendendo difficile la governance centralizzata. Il risultato è l’aumento della complessità che i gruppi di sviluppo devono gestire, sottraendo tempo al loro vero obiettivo: realizzare nuovi servizi e applicazioni per il business.
Requisiti come osservabilità, sicurezza, compliance e provisioning self-service diventano sempre più difficili da garantire quando ogni team ha le proprie pipeline, le proprie immagini Docker e i propri strumenti di monitoraggio.
Poi è arrivato il cloud che ha rivoluzionato tutto, dando accesso illimitato alle risorse e permettendo di effettuare il provisioning self-service di un elenco “infinito” di servizi. Inevitabilmente però ha introdotto complicazioni nuove che hanno aumentando i rischi operativi e i problemi in termini di governo, costi e monitoraggio. Questo ha reso impossibile garantire i requisiti di sicurezza e compliance tipici delle grandi aziende.
Platform Engineering: l’evoluzione necessaria
In questo contesto, il Platform Engineering emerge come disciplina complementare al DevOps. Non lo sostituisce: lo rende sostenibile.
È un mix di architettura, ingegneria e organizzazione per progettare e realizzare una piattaforma che eroga “servizi” a un insieme di potenziali utilizzatori — i team di sviluppo ma non solo — nascondendone la complessità realizzativa, per rendere più semplice, sicuro e replicabile l’intero ciclo di vita del software, industrializzandolo, con un modello ispirato a quello del Cloud.
L’obiettivo del Platform Engineering è la creazione di Internal Developer Platform (IDP), una combinazione normata e standardizzata di strumenti, API, servizi e automazioni che offre ai team tutto ciò di cui hanno bisogno per sviluppare e rilasciare applicazioni senza reinventare la ruota.
La chiave è il modello operativo condiviso: strumenti coerenti, ambienti pronti all’uso, policy uniformi, observability integrata. La piattaforma è l’elemento che concilia la complessità infrastrutturale e il desiderio dei team di muoversi rapidamente.
Platform Engineering + DevOps: orchestrazione, coerenza e scalabilità
Un errore comune è pensare che il Platform Engineering sia in antitesi con il DevOps. In realtà ne è il potenziamento.
- DevOps dice: “Automatizza tutto, responsabilizza i team, riduci gli handover”.
- Platform Engineering aggiunge: “Fai partire tutti dallo stesso punto, con strumenti e processi coerenti e infrastrutture stabili e sicure”.
La piattaforma diventa uno strato di astrazione, una sorta di “internal cloud” estendibile che offre ai propri utilizzatori dei percorsi guidati: soluzioni preconfigurate e riconosciute come “standard” dall’organizzazione per fare software al suo interno, pipeline standard, modelli IaC versionati, ambienti pronti, osservabilità integrata.
Da DevOps a Platform Engineering: tre pilastri fondamentali
Ok, da dove si parte? Per passare da pratiche DevOps a un modello a piattaforma strutturato serve affrontare una trasformazione che opera su tre dimensioni
Strategia architetturale e tecnologica
Consolidare e semplificare il panorama degli strumenti, scegliendo le tecnologie più adatte al proprio contesto, privilegiando standard aperti e componenti riutilizzabili, per evitare silos tecnologici e ridondanze.
Metodo e cultura
Definire processi e pratiche di lavoro chiare e condivise, non solo per gli utilizzatori, ma anche per tutti gli attori che realizzano la piattaforma. Incorporare regole e policy trasparenti agli utilizzatori e adottare un mindset di prodotto, cioè trattare la piattaforma come un prodotto da far evolvere continuamente in base alle esigenze degli utenti interni.
Organizzazione: evitare gli errori del passato
La piattaforma non la costruisce un solo team, ma diversi gruppi sparsi in vari dipartimenti, ciascuno con le proprie competenze. L’importante è farli lavorare davvero insieme, evitando che si chiudano in silos, un problema che capita spesso con i team DevOps centralizzati. Serve chiarezza sul “chi fa cosa”, allineamento e condivisione nei modi di fare, e una figura di raccordo tra chi crea la piattaforma e chi la usa, in modo che tutto sua in sintonia e la piattaforma possa crescere in modo condiviso e funzionale.
In breve, passare da DevOps a Platform Engineering significa evolvere da un insieme di pratiche e strumenti isolati a un ecosistema integrato e guidato da un’architettura solida, una strategia tecnologica condivisa e un’organizzazione che lavora in modo coordinato attorno a una piattaforma costruita come un vero prodotto.
Compliance, sovranità e il “ritorno al privato”
Le normative (GDPR, DORA, NIS2), le esigenze di controllo dei costi e la sovranità del dato stanno portando molte organizzazioni a rivedere l’adozione del cloud pubblico.
Non è un ritorno all’on-prem classico, ma un’evoluzione: un private cloud che prende spunto dal modello del cloud pubblico, per abilitare self-service, automazione e scalabilità, ma con piena ownership interna e un modello meno complicato.
Anche in questo caso, il Platform Engineering è la chiave: permette di costruire un ecosistema sicuro, osservabile e replicabile, modellato sulle esigenze specifiche dell’organizzazione e armonizzato con processi aziendali.
L’infrastruttura torna strategica
Oggi, più che mai, l’infrastruttura non è un dettaglio tecnico. È una leva strategica, che richiede di applicare le pratiche ingegneristiche e architetturali non solo alla parte applicativa, ma le estende a tutto il ciclo di vita del software.
Il Platform Engineering non è una moda o una nuova etichetta, ma l’evoluzione naturale di pratiche nate nelle aziende digitali per migliorare la sostenibilità operativa e rispondere a un mondo in costante cambiamento. Oggi ha un nome, ma affonda le radici in esigenze reali: scalare il DevOps, garantire compliance, accelerare il delivery e mantenere il controllo.
DevOps ha aperto una strada. Platform Engineering disegna l’autostrada, non solo più veloce, ma anche più sicura, sostenibile e scalabile.
